OMELIA ARCIVESCOVO BOCCARDO PER MESSA RAI 1 DEL 14 SETTEMBRE

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Domenica 14 settembre p.v. dal nostro Santuario di S. Rita in Roccaporena di Cascia è stata trasmessa in diretta su RAI 1 la celebrazione della S. Messa presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo. Il Presule ha tenuto la seguente omelia:

«Invitati oggi a celebrare la croce gloriosa del Signore, dobbiamo soffermarci a contemplare questo mistero, farlo penetrare nel nostro spirito, far sì che esso divenga luce interiore e comprensione amorosa del piano di Dio. Lo facciamo in compagnia di Santa Rita, che si è donata senza riserve alla sequela del Maestro ed ha portato nel cuore e sulla fronte il segno della sua passione.

Nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, San Paolo afferma che Gesù Cristo, che è Dio, si è fatto uomo, si è fatto obbediente, fino alla morte di croce. Nella pagina  evangelica troviamo descritto lo stesso evento: la discesa del Figlio di Dio nella natura umana ed il suo ritorno glorioso al Padre. Ma c’è una novità: Paolo coglieva nella vicenda di Cristo soprattutto l’umiltà, la condiscendenza. Gesù indica una seconda motivazione, più profonda: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito… non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Ecco cos’è la croce vista dalla parte di Dio: mistero di amore, mistero di salvezza.

È impossibile cogliere la croce di Cristo – e la croce del cristiano – senza un cammino spirituale. Essa non ha senso per chi confida solo nell’efficienza materiale, nei programmi tecnici, nei progetti sociali. Non ha senso per chi non vuole dare spazio alla vita interiore, per chi ritiene che i problemi umani si possono risolvere scavalcando l’uomo, la sua libertà, il suo cuore. La croce non dice niente, anzi crea difficoltà, a chi non sa aprirsi al mistero, a chi non accetta la Sapienza che viene dall’alto, a chi non rispetta i tempi lunghi e pazienti nei quali si dispiega l’azione di Dio, a chi pretende che l’amore di Dio corrisponda in modo frettoloso e superficiale ai desideri dell’uomo. La croce fa ostacolo a chi non ha il coraggio di distaccarsi da se stesso per mettersi nelle mani del Padre. Essa rimane un puro simbolo muto di dolore per chi non è disposto a vivere la solidarietà con Cristo e con i fratelli; per chi esige la soluzione automatica di tutti i problemi senza prestare il proprio personale contributo; per chi vede nel dolore degli uomini un fastidio da lasciare sulle spalle altrui e non una provocazione alla vicinanza e alla comunione fraterna.

Eppure la croce continua a stare davanti a noi: essa ci vuole dire qualcosa, se noi la contempliamo con amore, attratti dalla forza dello Spirito che è il dono di Cristo crocifisso. Se la guardiamo con stupore ed affetto essa diventa grande, diventa attraente come il calore e divorante come il fuoco; si erge addirittura come una sfida.

Perché il Crocifisso al quale noi volgiamo lo sguardo, in realtà, non esiste più. Quello fu un momento della vita di Gesù, un atto, concluso con la morte. Ciò che “esiste” in senso vero, ora, è il Crocifisso-risorto. Colui che noi incontriamo oggi nella preghiera, Colui con il quale dialoghiamo e si fa presente nell’assemblea eucaristica è il Cristo, il “Signore”, il vincitore del male e della morte, che è entrato nella gloria del Padre.

Eppure – e qui sta il vero mistero – Gesù è ancora tra noi crocifisso. Ci resterà per sempre, fino alla fine del mondo: sono i poveri, le sue membra sofferenti, offese, abbandonate, oppresse. Questo è, oggi, il crocifisso vivente, il Gesù abbandonato sulla croce. Questa è, come dice Papa Francesco, «la carne di Cristo». Noi impariamo così che l’autentica venerazione della Croce si traduce in amore autentico per i poveri, per tutti coloro che sono segnati dalla sofferenza e dal bisogno. Gesù stesso ci spinge incontro a loro: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).

L’esperienza realistica della vita ci dice che il dolore, la prova, la morte riempiono di sé la storia dell’umanità. Gesù non ha inventato la croce: anche lui l’ha trovata sul proprio cammino, come ogni uomo. La novità che egli ha inventato è stata quella di mettere nella croce un germe di amore. Così la croce è diventata messaggio, strada che conduce alla vita, sorgente di calore trasformante per l’uomo: è diventata “la croce di Gesù”!

Quella croce abbraccia per prima ciascuno di noi e ci affida un incarico nella nostra vita personale, nella nostra famiglia, nell’ambito delle nostre amicizie, delle nostre conoscenze, ovunque incontriamo e incontreremo una pena, una sofferenza. Penso a tante famiglie incrinate o spezzate, a quelle provate dalla crisi economica, penso a tante malattie, a blocchi del cuore non risolti, a sentimenti e risentimenti amari che covano dentro. Quante di queste croci camminano per le nostre strade, popolano i nostri paesi e le nostre città! Sono spesso croci senza nome e senza speranza. Sono talora croci maledette o appena tollerate. Portano alla disperazione o, al più, alla rassegnazione.

Gesù, dalla sua croce, invita ciascuno di noi, oggi, a mettere tutte queste croci, e non soltanto la nostra, in rapporto con la sua; ci invita a seminare anche in esse, come ha fatto per primo lui, il germe dell’amore e della speranza; ci chiede di ripetere il gesto che, secondo la tradizione, la Veronica fece con lui sulla via del Calvario: accostarsi, asciugare il sangue e il sudore, stare vicino, testimoniare concretamente la nostra fraternità e solidarietà.

Mediante l’Eucaristia che stiamo celebrando noi entriamo, adesso, in comunione profonda con Cristo: con il Crocifisso-risorto che vive nella gloria del Padre e con il suo corpo dolorante che vive ancora quaggiù. Dalla sua croce, che nella semplicità del legno richiama l’immediatezza e la verità dell’amore di Dio, riceviamo ed accogliamo la vita che non muore e la forza per amare e servire i fratelli».

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